Etiopia
Da anni, sognando i viaggi futuri, il nome Etiopia aleggiava nei nostri discorsi
ma chissà perché sembrava un paese un po’ difficile, o per lo meno più difficile di altri, e ogni volta rimaneva lì, nella lista dei viaggi in attesa. Invece, come per magia, una mattina a sorpresa l’Etiopia si è concretizzata nei nostri progetti. Ci sono viaggi che studio per mesi, modificando itinerari e tempi di permanenza nei vari luoghi; il viaggio in Etiopia, e più precisamente nell’Etiopia tribale del Sud, si è materializzato invece inaspettatamente nel giro di pochissimi giorni.
Ho avuto la fortuna infatti di incontrare Dario, figlio di italiani trasferitisi in Etiopia, nonché titolare delle maggiori agenzie turistiche operanti nel paese: greenlandethiopia.com, evatours.net ed aquilatourism.com. Grazie al suo prezioso aiuto, nonché alla sua perfetta conoscenza del paese e alla grande esperienza, abbiamo creato un itinerario davvero meraviglioso: i popoli tribali della Valle dell’Omo, i Monti Bale e la splendida città medioevale di Harar.
Dicembre 2023 – Gennaio 2024
Tuttavia, chissà perché, più si avvicinava la data della partenza e come sempre aumentava l’entusiasmo, insolitamente si insinuava anche qualche timore, forse dovuto ai tanti racconti poco rassicuranti che circolano riguardo questo splendido paese. Mai avrei potuto commettere errori di valutazione più esorbitanti! L’Etiopia si è rivelata sin da subito un paese tanto incredibilmente unico quanto affascinante, dotato di un terreno tra i più fertili d’Africa, abitato da popoli gentili ed accoglienti che creano un vero e proprio caleidoscopio tribale estremamente ricco ed accattivante. Addentrarsi nella Valle dell’Omo, trovandosi al cospetto di splendide tribù, ognuna con le proprie uniche tradizioni ed un’affascinante storia culturale che la identifica e contraddistingue, è un’esperienza indescrivibile: un tuffo in un mondo sconosciuto che ammalia ed arricchisce l’anima e il cuore di chi ha il privilegio di arrivare fin qui.
Se il popolo Dorze ci ha divertito permettendoci di indossare capi del loro abbigliamento per ballare con loro, i guerrieri Konso si sono rivelati costruttori abilissimi, tanto che i loro villaggi risultano sino all’ultimo completamente nascosti nella foresta. Se i Mursi, solitamente considerati chiusi e scontrosi, con noi si sono mostrati gentili e curiosi, le tribù nomadi al confine con il Kenya ci hanno affascinato con i loro sorrisi e i colori sgargianti. Prima di partire avevo mostrato alcune immagini dei popoli tribali a Lavinia, di soli quattro anni, per accertarmi che la nudità e le pitture corporee non la turbassero; non dimenticherò mai la sua risposta entusiasta osservando le fotografie: “Mamma, faranno anche a me i pallini rossi in faccia, vero?”. Ed ecco che i Karo, la tribù forse più fotogenica, ha realizzato il suo desiderio.
Vorrei sottolineare che assolutamente non c’è mai stato imbarazzo davanti ai seni nudi o timore al cospetto degli uomini apparentemente armati (è tradizione sfoggiare il fucile che il padre dona al primogenito quando diventa adulto); noi ci siamo sempre sentiti ben accolti e protagonisti di un vero e proprio meraviglioso scambio di curiosità: tanto noi cercavamo di carpire i dettagli della loro cultura e del loro esemplare rapporto con l’ambiente e le popolazioni circostanti, tanto loro erano incuriositi dalla nostra presenza, attratti soprattutto dalle bambine (i più piccoli cercavano spesso di toccare i loro capelli chiari e le loro braccia bianche, per capire se fossero fatte della stessa loro materia). Si è così creato un perfetto equilibrio tra noi e le popolazioni tribali, fatto di stupore e curiosità reciproca che ha dato origine a momenti unici di arricchimento per tutti noi ed alla sensazione di essere in perfetta sintonia con tutto ciò che ci circondava.
Abbiamo anche avuto la fortuna di assistere al rito iniziatico del “Salto del Toro” del popolo Hamer, che segna il passaggio di un ragazzo all’età adulta e lo autorizza a poter chiedere moglie; da antropologa speravo con tutto il cuore di poter assistere ad un evento così importante e significativo, ma un aspetto cruento mi spaventava, in quanto le donne della famiglia del ragazzo per buon auspicio si fanno frustare. Tutto si è svolto nel fitto della foresta, in un crescendo di adrenalina e suspance che ha indubbiamente coinvolto anche noi pochi turisti spettatori: i canti e i balli delle donne nel letto in secca di un fiume ci hanno guidato sino al luogo prescelto per la cerimonia, mentre la prolungata attesa e la trepidazione collettiva hanno subito inebriato i nostri sensi facendo sì che il ricordo di questa intensa esperienza rimarrà indelebile nei nostri cuori. Alla fine devo ammettere che la serenità sui volti delle donne e l’entusiasmo che mostravano nel chiedere le frustate hanno fatto in modo che anche questo aspetto, per la nostra cultura cruento ed inaccettabile, fosse in qualche modo compreso: per loro si tratta di dimostrare che il ragazzo protagonista proviene da una famiglia sana e forte.
Lasciare la Valle dell’Omo non è stato per nulla facile: ammetto che ci sentivamo perfettamente a ostro agio tra queste popolazioni così lontane dalla nostra cultura occidentale, dalle quali sentivamo invece di avere molto da imparare. Nel giro di qualche ora di macchina però ci siamo ritrovati tra il popolo Booranaa, apparentemente così diverso: le donne coprono totalmente i loro corpi avvolte in colorate tuniche e veli, le capanne all’interno sono più strutturate ed oltre le capre e i bovini lungo la strada si incontrano dromedari e struzzi.
Siamo poi saliti sui Monti Bale, oltre i 3500 metri s.l.m.; qui, in un’aria rarefatta tra immense praterie che ricordano la steppa mongola, ci siamo cimentati in entusiasmanti trekking alla ricerca della fauna tipica: possenti babbuini, facoceri, scattanti piccole gazzelle, dolci antilopi nyala (specie endemica) e, raggiunta quota 4300 metri s.l.m., ci siamo trovati al cospetto del principe elusivo di questo altopiano: il lupo etiope. Che emozione osservarne prima un esemplare sulla cresta delle rocce e poi un altro tra i fiorellini gialli che spiccano nella vastità di licheni, tra scenografici laghetti popolati da anatre arancioni, mentre nel cielo volano maestosi rapaci!
Infine siamo stati letteralmente colpiti dalla bellezza indiscutibile di Harar, antica città medioevale cinta da mura maestose, con un glorioso passato ed ora anche riconosciuta come “Città della pace” dall’UNESCO; proprio a ribadire ancora una volta che l’Etiopia, a differenza delle dicerie che purtroppo spesso circolano, è un paese pacifico e votato all’armonia e al senso di comunità, purtroppo vittima di giochi di potere. Le stradine di Harar sono davvero incantevoli e qui, in ogni angolo, si assiste alla laboriosità dei suoi abitanti; ma è alla sera che accade qualcosa unico al mondo che sfida le leggi naturali: il pasto delle iene. In passato infatti gli attacchi delle iene erano molto frequenti, ma a metà del Cinquecento l’Iman volle provare ad instaurare un rapporto amichevole con questi possenti felini, offrendo loro cibo in cambio di una pacifica convivenza. Ci sono voluti molti anni ma quel lungimirante desiderio si è avverato: ormai ogni sera un pubblico, letteralmente a bocca aperta, assiste al richiamo delle iene da parte di un ragazzo (compito che si tramanda da generazioni immemori) per offrire cibo alla matriarca. Non si tratta assolutamente di una trovata turistica, i tempi di attesa variano ogni sera da quando si odono i primi ruggiti di avvicinamento a quando la matriarca si avvicina dopo varie incursioni furtive, e solo quando la situazione appare calma anche gli spettatori sono invitati a partecipare a questo incredibile rito, che dimostra come la condivisione del territorio e la pacifica convivenza siano possibili, a patto di volerlo davvero e dedicare al risultato tutto l’impegno necessario. Non potremo mai scordare il batticuore provato fissando negli occhi questi possenti animali, solitamente così riservati.
Il nostro viaggio non poteva concludersi in maniera migliore se non con una giornata di completo relax nelle vasche termali del Doho Lodge, ai margini della Dancalia, circondati dalla savana territorio del popolo Afar. Questo luogo meraviglioso ci ha subito portati a pianificare un prossimo viaggio in Dacalia, dove madre natura dà sfoggio di tutta la sua potenza, ma la cui temperatura che si aggira sui 50°C è proibitiva soprattutto per Lavinia, meglio attendere qualche anno. Nel frattempo continuiamo a sognare e fantasticare di tornare in Etiopia, un paese che è davvero penetrato nel profondo dei nostri cuori e che ci ha regalato emozioni uniche, sperando che i disordini che colpiscono il nord del paese cessino al più presto.

L’Etiopia è stata davvero la più grande scoperta fatta finora in fatto di viaggi;
un paese di cui si conosce poco e che invece ammalia con la sua stupefacente semplicità, dove ci siamo sentiti accolti e coccolati da popolazioni sorridenti, che sanno ancora vivere in perfetta armonia con l’ambiente e tra di loro, che camminano per strada tenendosi per mano e conoscono l’importanza della condivisione; dove la cerimonia del loro squisito caffè (che abbiamo assaggiato sia nei villaggi che lungo la strada) ci ha ricordato che i sapori, e metaforicamente ogni aspetto della vita, va assaporato e gustato senza fretta; dove i nostri sguardi si sono più volte persi lungo le interminabili strade di terra battuta sulle quali uomini, donne e bambini camminano senza sosta, con un portamento eretto che ho spesso invidiato, ricordandoci che spesso il percorso condiviso con altri è la parte più importante di ogni viaggio ed ogni spostamento.
Forse si tratta di suggestione o di reminiscenze scolastiche legate al ritrovamento di Lucy, ma appena posato piede in Etiopia ci siamo sentiti avvolti in un mondo che ci ha accolti amorevolmente; sì, forse è stato davvero come tornare a casa.

Reportage
